Andrea Papetti: «Giocare sempre è un onore. Tornare in Serie A? Magari con la maglia granata...»
«L’ottavo posto non ci sorprende, ma la salvezza resta l’obiettivo. Stare al fianco di Magnani e Rozzio aiuta a crescere. Dionigi? È lo stesso tecnico dedito al lavoro che già mi aveva allenato. Carrarese? Dovremo correre più di loro per vincere»

Andrea Papetti è stato uno dei protagonisti di questo avvio di stagione granata. Sempre impiegato da Dionigi – oltre mille minuti in campo su 12 presenze – il difensore classe 2002 sta vivendo una ripartenza importante dopo la brusca separazione dal Brescia arrivata la scorsa estate. Nella consueta intervista settimanale presso la sede del club granata, Papetti ha parlato di fiducia, crescita personale, obiettivi della squadra e della sfida imminente sul sintetico di Carrara, senza nascondere un sogno: tornare in Serie A, magari un giorno con la maglia granata.
Andrea, non sei stanco? Hai giocato praticamente tutte le partite…
«No. Sicuramente mi fa piacere giocare, è un segnale di fiducia da parte del mister, dello staff e della società. Questo mi onora. Spero di continuare così e di poter giocare il più possibile».
A Toano si fa male Rozzio in amichevole dopo un quarto d’ora e ti ritrovi a fare il centrale: che cosa hai pensato in quel momento?
«Ho pensato che dove mi avrebbero messo, avrei giocato. Non è il mio ruolo naturale, però dove c’è da “soccombere” a qualcosa io ci sono».
Ti hanno definito il migliore in campo di Reggiana-Virtus Entella. Che effetto fa?
«Ho letto qualcosa, ed è una bellissima soddisfazione. Peccato non essere andati alla sosta con una vittoria, ma la Serie B è così: ci sono partite in cui è meglio portare a casa un pareggio, perché poi quei punti servono».
Ti aspettavi l’ottavo posto della Reggiana dopo 12 giornate?
«Non sono uno che si fa tante aspettative, vivo giorno per giorno cercando di dare il massimo. Però sì, me lo aspettavo: siamo un gruppo giovane con tanta voglia di lavorare e abbiamo un mister e uno staff che ci portano sempre sull’idea del lavoro e dell’impegno massimo».
Nello spogliatoio parlate di salvezza o di playoff?
«Di niente. Dobbiamo portare a casa la salvezza il prima possibile. Poi quello che viene dopo è tutto di guadagnato».
Almeno puoi dirci com’è il clima che si respira tra di voi?
«Sicuramente positivo. Per come siamo messi ora non possiamo lamentarci. Certo, potevamo fare qualcosa in più, però siamo felici e dobbiamo continuare così. In questa sosta abbiamo lavorato ancora di più, perché sono settimane in cui puoi aumentare il carico e te lo ritrovi avanti».
A un certo punto ti ritrovi Magnani alla tua sinistra. Come va con lui?
«È un giocatore che ha fatto tantissima Serie A e ti dà una sicurezza enorme. Ti fa giocare meglio. Lo stesso vale per Paolo (Rozzio, ndr) quando gioca centrale: sono persone che ti aiutano a migliorare, ti spingono e ti danno fiducia. Certe letture, quando ho fatto il centrale, non le avevo: lo riconosco».
Hai assaggiato la Serie A col Brescia. Il tuo obiettivo è tornarci? C’è un modello a cui ti ispiri?
«Ho giocato in Serie A, anche se poco: per dire di averla “fatta” bisogna giocarci in pianta stabile per qualche anno. Tornarci è sicuramente un mio obiettivo, farlo con la Reggiana sarebbe un sogno. Mi sono sempre ispirato a Sergio Ramos, era il mio idolo fin da piccolo anche quando giocavo da attaccante».
Chi ha avuto l’intuizione di trasformarti in difensore centrale?
«Quando sono arrivato al Brescia dall'Inter, dove giocavo da esterno, c’era Gustavo Aragolaza che era il mio tutor in convitto e il mio mister. Secondo lui dovevo fare il centrale e mi ha spostato lì. Da allora non mi sono più mosso. Ora lavora con la Nazionale argentina come scout».
Hai mai giocato terzino destro in una difesa a quattro? Te la sentiresti?
«Sì. A Brescia ho giocato sia a tre che a quattro, sia braccetto che centrale e ogni tanto terzino destro. Preferisco difendere, però se c’è da andare avanti lo faccio. Non sono un terzino di qualità o di spinta, ma lo faccio».
Quando sei rimasto svincolato dal Brescia, che sensazioni hai provato?
«È stata una sensazione strana, non me lo aspettavo e penso che nessuno di noi se lo aspettasse. Essere senza squadra non ti aiuta: ci pensi tutti i giorni. È il nostro lavoro, la nostra vita. È come ritrovarsi da un giorno all’altro senza un datore di lavoro. Sono rimasto spiazzato, ma per fortuna poi è arrivata la Reggiana. Ora però tutti noi abbiamo trovato una sistemazione, tranne Jallow».
Hai già avuto Dionigi a Brescia. Che differenze hai trovato?
«Nessuna, è lo stesso. Ha la stessa dedizione assoluta al lavoro, per lui l’allenamento è sacro. Bisogna correre più degli altri, avere più voglia degli altri: è la sua base. In panchina non ci faccio caso, ma per me è sempre uguale».
La Reggiana ha subìto 18 gol. Come spieghi questo dato?
«È difficile da spiegare. A volte puoi fare di tutto per non far entrare il pallone… ma entra lo stesso. Sicuramente ci sono stati errori da parte mia e di tutti, perché quando prendi gol è un discorso collettivo. Il mister e lo staff stanno lavorando molto su certe situazioni da calcio piazzato, soprattutto dopo Avellino. Non sono pochi e dobbiamo migliorare questa statistica».
Da braccetto il mister ti chiede anche di applicarti nella fase offensiva: quando arriva il tuo primo gol?
«Non lo so (ride, ndr). Però sì, chiede ai braccetti di essere un uomo in più quando si attacca e questa cosa mi piace: ti dà libertà di muoverti e andare avanti. Speriamo che il gol arrivi presto».
Che partita ti aspetti con la Carrarese dopo la sosta?
«Giocare là non è facile, il campo sintetico è un fattore e loro sono abituati più di noi. La Carrarese è una squadra che corre, lotta, è tosta. Dobbiamo correre più di loro per vincere. Sarà una partita dura, ma dobbiamo cercare di portarla a casa».
Hai vissuto tanti derby a Brescia: com’è stato il tuo primo Reggiana-Modena?
«Bello ed emozionante. Era martedì e c’era un sacco di gente allo stadio, 15mila persone. Vincere è stato ancora più bello, soprattutto in un derby».


