Rozzio assieme al presidente Salerno durante le firma del contratto - foto AC Reggiana
Rozzio assieme al presidente Salerno durante le firma del contratto - foto AC Reggiana

Paolo Rozzio ha firmato il rinnovo fino al 30 giugno 2026, prolungando un legame che dura da un decennio e che lo ha visto indossare la maglia granata in oltre 200 partite, dalla Serie D fino alla Serie B. Simbolo di continuità e appartenenza, il numero 4 della Regia è reduce da una stagione travagliata, ma chiusa in bellezza grazie anche al suo ritorno in campo dopo l'infortunio. Ora si apre un nuovo capitolo di una storia d'amore iniziata nel lontano 2016…


«Iniziare la decima stagione consecutiva alla Reggiana per me significa tanto - sottolinea il difensore classe 1992 - Significa ripensare agli anni passati con nostalgia e con orgoglio, ricordare tutto il percorso fatto con questi colori. Ci sono stati momenti belli, ma soprattutto momenti difficili, che sono quelli che mi hanno fatto crescere e diventare l’uomo che sono oggi. La mia formazione personale, nei valori e nei principi, la devo tantissimo alla Reggiana. E spero continui a farmi crescere anche in futuro».

Il presidente Salerno ha detto che il tuo rientro nello scorso campionato ha dato una svolta alla squadra, non solo tecnica ma anche caratteriale. Senti ancora tuo questo ruolo?
«Assolutamente sì. Intanto ringrazio il presidente per le parole, ma al di là di quello che ha detto, c’è un rapporto di stima reciproca che si è consolidato da tempo. Questo mi dà ancora più responsabilità verso questa società, questa città, questi colori. Ho sempre cercato di ricoprire il ruolo di capitano con la massima professionalità, sbagliando a volte, ma provando a trasmettere i valori che mi ha insegnato la mia famiglia. E che oggi cerco di trasmettere ai giovani, che sono di generazioni diverse dalla mia. Se posso dare una mano alla loro crescita personale, sono contento e continuerò a farlo».

È vero che il giorno dell’infortunio contro il Catanzaro il presidente ti ha rassicurato già in ambulanza sul rinnovo del contratto?
«Il presidente quel giorno mi ha detto che mi avrebbe sistemato il contratto, e ha mantenuto la parola, come ha sempre fatto. È un uomo di parola, e questo gli fa onore. Lo ringrazio, così come ringrazio il patron Amadei e i vicepresidenti Fico e Cattani: la società tutta. È stata una stagione molto impegnativa, anche a livello personale. Stare fuori cinque mesi da capitano non è semplice: non è facile seguire le dinamiche dello spogliatoio mentre sei in un centro di riabilitazione, o stare vicino all’allenatore solo al telefono. L’ultimo periodo è stato bellissimo, ma dire che ero sicuro al 100% della salvezza sarebbe ipocrita. La preoccupazione era tanta, però ci abbiamo creduto fino alla fine, e la squadra ha dato tutto. Fa parte del nostro lavoro».

Hai conosciuto molti allenatori: cosa ha di diverso Dionigi rispetto agli altri?
«È un allenatore molto presente in campo, ma molto discreto fuori dal rettangolo verde. Non è uno che ama stare tanto nel centro sportivo finito l’allenamento. Lascia molta libertà ai giocatori, libertà che non significa fare ciò che si vuole, ma che responsabilizza. Altri allenatori, come Nesta o Viali, magari si fermavano a parlare un po’ di più dopo la seduta. Dionigi invece è più riservato, ma sempre attento. È un modo diverso di essere presenti».

Reggio è una piazza in cui si lascia il segno anche senza vincere: ti senti pronto a diventare un’icona per la tifoseria?
«Sì, assolutamente. Le responsabilità mi sono sempre piaciute. Restare tanti anni in una società può sembrare facile, ma non lo è. Bisogna trovare ogni anno nuovi stimoli, e io li trovo sempre. Anche quest’anno, firmando il rinnovo, mi sento motivato. Spero davvero di poter finire la carriera qui».

Hai un rapporto molto diretto con i tifosi?
«Sì, ormai ne conosco tanti. Dopo dieci anni, è inevitabile. Parlo spesso con loro, anche per cercare di spiegare dinamiche che non si vedono dall’esterno. Spesso vedono solo il risultato, ma dietro una sconfitta ci sono tante cose. Mi sento un po’ un intermediario tra squadra e tifoseria, perché a volte l’immagine che passa non è quella reale. E allora provo a far capire chi è davvero quel giocatore che vedono solo allo stadio».

Che sensazioni avverti per la stagione che sta per iniziare?
«Ho conosciuto il nuovo direttore sportivo Fracchiolla un paio di settimane fa e ho ritrovato Scognamiglio, con cui ho condiviso un periodo da giocatore a Pisa. Si vede che hanno tanta voglia di lavorare, e questo è fondamentale. L’obiettivo è chiaro: la salvezza. Ma per raggiungerlo bisogna pensare giorno per giorno, allenamento dopo allenamento. È un percorso di crescita quotidiano, non si può guardare troppo avanti».

Quest’anno potrebbe esserci maggiore continuità, almeno nel reparto difensivo. È un valore su cui costruire?
«Adesso è presto per dirlo con certezza. Negli ultimi anni abbiamo cambiato tanto, e anche quest’anno qualcosa cambierà, però con me, Sampirisi, Meroni… ci sarà un’ossatura da cui ripartire. Ed è fondamentale per aiutare i più giovani a crescere. In un campionato lungo e duro come la Serie B, la gamba fresca dei giovani è decisiva per dare il cambio a noi “vecchietti”».

Il nuovo look nasce da un fioretto?
«Mi ero detto che, se ci fossimo salvati, lo avrei fatto. Ogni mattina mi guardo allo specchio e dico: “Mamma mia, quanto sono brutto”. Ma poi penso anche: “Abbiamo fatto una salvezza miracolosa, quindi lo tengo!”. È una motivazione in più per provarci ancora».

Di recente hai sostenuto un intervento alla caviglia?
«Sì, i primi giorni di giugno. Mi hanno tolto una vite, ma è stato un intervento velocissimo, un quarto d’ora. Il giorno dopo camminavo già, dopo dieci giorni mi allenavo. Nulla a che vedere con l’operazione di novembre. Tenerla avrebbe potuto causarmi infiammazioni, ma ora sto bene. Sono pronto per iniziare il ritiro».

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