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Goretti e il futuro in Serie B: «Le difficoltà aumenteranno ma ci sono le condizioni per creare qualcosa d'importante»

«La Reggiana ha vinto perché è stata la più brava. Il rapporto con Diana all'inizio era complicato poi abbiamo trovato la quadra e siamo cresciuti entrambi. La società dovrà darmi un input chiaro, poi io inizierò a prendere le mie decisioni»

10.05.2023 18:30

Il direttore sportivo granata Roberto Goretti non ama la luce dei riflettori e preferisce lavorare dietro le quinte, lasciando volentieri il palcoscenico ad altri protagonisti. La sua voce è risuonata in sala stampa in alcuni momenti chiave della stagione – ad esempio dopo il pesante k.o. di Fiorenzuola, dopo la sconfitta casalinga con il Cesena e dopo il pareggio con la Recanatese – e in alcune fasi di passaggio del calciomercato. Ora che la stagione è praticamente giunta al termine e l’obiettivo principale è stato centrato con la conquista della Serie B dalla porta principale, il dirigente umbro può finalmente tirare una riga e gettare qualche indizio (molto striminzito) sul ciò che attenderà la Reggiana nei prossimi mesi.


Direttore, ha festeggiato anche lei la promozione in Serie B?
«Sì, a modo mio con un po’ di relax a casa. Le promozioni sono tutte bellissime, credo però che uno le capisca e se le goda con il tempo più che nell’immediato. Stiamo ancora finendo di godercela fino in fondo, lunedì avremo una cena tutti insieme per chiudere i festeggiamenti».

Perché, secondo lei, la Reggiana ha vinto questo campionato?
«Perché è stata la più brava delle 20 squadre nella somma di tutte le componenti. Non dico la più forte, ma la più brava. La Reggiana ha vinto al termine di un percorso biennale al quale tutti hanno partecipato e messo il loro mattoncino per tornare in Serie B».

Quanto conta il lavoro di Goretti in questa promozione?
«Ho rispettato il mio ruolo, non credo di avere avuto una parte così determinante. In una società bisogna saper fare il proprio lavoro rispettando le proprie mansioni e rispettando quelle degli altri».

Qual è stata la decisione più facile o la più difficile che ha dovuto prendere?
«Non sta a me giudicarmi. Quando sono arrivato ho trovato condizioni a cui non ero abituato: tre proprietari e un direttore generale. Ero solito confrontarmi con il presidente e basta. Ho fatto di necessità virtù, ma in questo caso ho trovato una rosa molto vecchia già fatta e un budget definito da ridurre. Devo dire che è stata una bella esperienza. La prima cosa di una certa rilevanza che ho fatto è stato vendere il capocannoniere della passata stagione alla nostra più importante rivale (Zamparo all’Entella, ndr). Poteva essere una scelta sbagliata e potevo prendere del cretino, ma in fin dei conti è stata una scelta coraggiosa che ha aperto in quel momento all’inizio di un nuovo modo di vedere la rosa».

Ho trovato un ambiente un po’ depresso al suo arrivo?
«C’erano tanti racconti negativi ma io ero fresco e guardavo alle cose positive e mi riferisco alla squadra e all’allenatore che avevano fatto 86 punti nel campionato precedente. Da osservatore esterno ho pensato che vi fosse la necessità di continuare ad andare avanti con le dinamiche che avevano portato a quel risultato».

Per lei è stato un vantaggio o uno svantaggio lavorare in un ambiente relativamente tranquillo come quello reggiano?
«Per come ragiono io è assolutamente un vantaggio. In alcuni momenti lo può essere meno, ma fondamentalmente qui si può far calcio per davvero ed è giusto mostrare alla città e ai tifosi un progetto tecnico: questo vuol dire creare l’identità di un club e un modello da riconoscere nel tempo. Qui ci sono le condizioni per crearlo. Dopo Olbia ho deciso di distaccarmi dalla quotidianità del gruppo squadra per pensare a quello che potrebbe essere il futuro, facendo un ragionamento il più distaccato possibile».

È anche per questo motivo che non è salito sul pullman assieme alla squadra?
«Io penso che i protagonisti debbano essere quelli che vanno sul campo. Sono abbastanza riservato, cerco di vivere poco dentro lo spogliatoio. Il cervello di un dirigente per me deve essere pulito e non avere troppi collegamenti con l’ambiente e intendo la stampa, le televisioni e così via. Cerco di vivere tutto con un certo distacco, ma nel momento della festa il distacco un po’ svanisce. Nell’ultimo mese di campionato da parte mia c’è stato un modo diverso di vivere tutto quanto e mi sono reso conto che Reggio, come già percepivo da calciatore, è una città con grande passione per la Reggiana, grande identità e grandi potenzialità. La festa in piazza vista da fuori è stata bellissima».

Può anticipare qualcosa sul futuro della Reggiana?
«Ho poco da dire: non è ancora il tempo per parlarne. Abbiamo l’ultima gara contro una squadra fortissima (il Catanzaro, ndr) e partiamo da una situazione difficile ma ci proveremo. Rivolgiamo l’attenzione a sabato poi dalla prossima settimana la proprietà darà indicazioni sulla prossima stagione. Poi, come è giusto che sia, staff tecnico e calciatori dovranno recepire quanto richiesto. Passo dopo passo faremo tutto».

Quanto cambia la Serie B rispetto alla Serie C come livello di difficoltà?
«Nel nostro girone ho visto squadre di livello nettamente superiore come Reggiana, Entella e Cesena. Poi ci sono 7-8 squadre di discreto livello e le altre con le quali c’è molta differenza a livello tecnico e di campo. In Serie B non è cosi: le squadre sono molto più livellate e partiranno da un livello minimo pari al Cesena, l’Entella o la Reggiana di quest’anno».

Qual è il suo progetto per la Serie B?
«Bisogna vedere innanzitutto cosa ha in testa la proprietà, parte tutto dall’input di chi comanda. La volontà penso sia quella di fare una stagione per raggiungere una salvezza tranquilla, ma la Serie B anche quest’anno dimostra che bisogna sempre stare sul pezzo. Per quello che mi piace fare, vorrei ragionare su una veduta più ampia cioè creare a Reggio un club con una sua identità e un suo modo di proporsi e vivere il quotidiano ben definito e riconoscibile. Quello deve essere il mio primo obiettivo».

E per quanto riguarda l’allenatore?
«I miei rapporti con mister Diana sono ottimi. All’inizio ci siamo confrontati spesso in maniera sempre costruttiva perché volevamo vincere entrambi il campionato. Lui non voleva fallire la promozione per il secondo anno di fila e io sapevo di avere una sola chance per migliorare l'anno precedente. Volontà e determinazione erano forti, ci ha accomunato la grande voglia di fare bene. Non sono mancati motivi di scontro o confronto acceso fino a Natale, poi abbiamo trovato la quadra e c’è stato un bel rapporto che mi ha fatto crescere. È stata una bella sfida avere a che fare con un certo tipo di allenatore con convinzione e idee ben determinate. Penso che anche lui abbia avuto la possibilità di prendere in considerazione situazioni nuove».

Le sue idee e quelle della società sull’allenatore sono convergenti o divergenti?
«Se non si rema tutti dalla stessa parte si è morti. Vedremo…».

È vero che ogni direttore sportivo ha i suoi allenatori sui quali puntare? 
«Il ds deve ragionare su che allenatore serve in una determinata situazione. Quando hai già lavorato con un tecnico è più facile sceglierlo se lo conosci. Le valutazioni che si fanno però sono differenti».

Ha già in mente la squadra da costruire?
«Bisogna capire le varie fasi della stagione: a giugno ci sarà una periodo lungo 30-40 giorni in cui non succede quasi niente. Sono tempi che possiamo definire tecnici, da rispettare. Intanto aspettiamo la proprietà».

Pensa che l’organico debba essere profondamente rinnovato?
«Innanzitutto tutti devono capire che ci attende una categoria più importante e le difficoltà aumentano. Negli ultimi anni la Reggiana ha affrontato la B una sola volta in una stagione non fortunata e ha concluso il campionato a 12-13 punti di distanza dal quindicesimo posto che voleva dire salvezza diretta. Bisogna migliorare molto dall’ultimo anno in B…».

Guiebre e Pellegrini sono due nomi dai quali la Reggiana potrebbe ripartire?
«Sono due ragazzi in gamba che hanno fatto bene e hanno dimostrato di poter far parte di una squadra nella categoria superiore. Però ne parleremo più avanti in maniera concreta».

La sua politica dei contratti annuali proseguirà anche nella prossima stagione?
«Questo è un input che deve dare la società. Nella mia esperienza a Perugia abbiamo fatto sempre firmare contratti annuali ai giocatori sopra i 30 anni».

Guarderà anche al mercato straniero?
«Partiremo dall’Italia poi vedremo se ci saranno opportunità anche all’estero».

Che tipo di concorrenza si aspetta in B?
«Ogni anno dicono che la B è una A2… ma è sempre la Serie B. Viaggiando tra Modena e Parma ho visto tante partite e penso che le ultime 6-7 in classifica non siano squadre di grande livello al di là del blasone e dei nomi dei giocatori. Per me quello cadetto è sempre un campionato totalmente imprevedibile, le rose all’inizio non si capiscono fino in fondo. Il 18enne da cui non ti aspetti molto può diventare importante col passare dei mesi, così come il 30enne con grande esperienze alle spalle si può rivelare all’ultimo anno prima del gong. L’arrivo di proprietà straniere e fondi hanno cambiato anche l’equilibrio economico: a livello di stipendi si cresce ogni anno del 10-15% quindi anche da quel punto di vista le difficoltà aumentano».

Il budget che verrà definito sarà direttamente correlato ai risultati?
«Tutto parte sempre dai soldi. Se si guarda all’ultima stagione c’è sempre un’anomalia tra le prime cinque e le ultime cinque, ma generalmente i soldi che si investono ti collocano in una determinata posizione. Più che i soldi nell’immediato bisogna ragionare in maniera ampia a lungo termine».

Il suo Perugia dopo la promozione dalla Serie C riuscì a stabilizzarsi nel campionato cadetto per diversi anni: è questo l’orizzonte della Reggiana?
«Il nostro orizzonte, come ho già detto, lo deve chiarire la proprietà in maniera precisa, poi noi dovremo lavorare quotidianamente. L’esperienza di Perugia per me è stata fondamentale e bellissima: ogni anno era come vivere tre anni in uno, bisognava reinventare e reinventarsi oltre a rischiare molto. Bisognava individuare calciatori e allenatori con potenzialità. Era una situazione diversa ma che permetteva di sperimentare e credo che ci siano stati anche risultati importanti. Nell’ultimo anno concluso con la retrocessione ricordo che prima della pausa per il Covid stavamo lottando per i playoff, poi è successo qualcosa di difficile da immaginare e prevedere…».

Voci di mercato la vorrebbero tra i candidati per la poltrona di direttore sportivo dell’Empoli…
«Adesso ci sono tante voci sui direttori sportivi, poi arriverà il momento in cui usciranno le voci sugli allenatori e poi sui giocatori. Intanto noi dobbiamo ancora finire la stagione».

Quello relativo all’impiantistica è un altro argomento che la sta molto a cuore…
«È fondamentale se si vuole crescere e consolidarsi. Diventa determinante per il Settore Giovanile in primis ma anche per la prima squadra. Se uno pensa di costruire qualcosa che duri nel tempo questo argomento è importante. Per vedere il centro di Via Agosti operativo ci vorrà tempo, ma ci sono potenzialità pazzesche. Quel centro può diventare il nucleo da cui costruire una Reggiana che può rimanere a certi livelli per tanti anni».

La prima squadra vi metterà piede già da luglio?
«Così ci avevano detto. Deve essere così, ci deve essere la possibilità che la prima squadra da fine ritiro entri lì».

Nelle ultime gare sono stati convocati diversi giovani in prima squadra: è un segnale per il futuro?
«Ci sono pro e contro che possono pesare sulla testa dei ragazzini ma a me piace premiarli. Per chi fa il nostro Settore Giovanile, la strada per arrivare in prima squadra è diretta: chi ha un certo valore ha la possibilità di arrivare fin lì. Avere la possibilità di allenarsi con la prima squadra è un vantaggio clamoroso per loro crescita e penso che la Reggiana debba dare a loro tale opportunità. In questo territorio i ragazzini hanno ampia scelta, i loro genitori devono capire che scegliendo la Reggiana in Via Agosti c’è una struttura valida, insegnanti validi e i loro figli hanno la possibilità di finire in prima squadra ogni anno. Col tempo avremo più di un ragazzo in prima squadra, dobbiamo aiutare i nostri giovani ad arrivare fin lì».

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