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Fausto Rossi: «La Reggiana merita la Serie B e noi dobbiamo portarla lì. Ora la partita di Pesaro è la più importante»

«Con la Carrarese abbiamo mosso la classifica, domenica non dovremo preoccuparci del campo. Sono innamorato di Reggio, punto alle 150 presenze. Entella o Cesena? Stiamo bene, l'avversario più grosso siamo noi stessi. La sorpresa? Pellegrini»

01.03.2023 20:00

Il prof. Fausto Rossi seduto in cattedra non fa domande ma risponde a tutte quelle che gli vengono poste: si passa dalla spinosa questione dei mancati rinnovi in estate, alle emozioni provate nel derby vinto a Cesena, si tocca il tasto dolente della retrocessione dalla Serie B e si guarda ai prossimi appuntamenti di campionato, per chiudere con il rapporto che lo lega alla città di Reggio. Comunque vada a finire la stagione, una cosa è certa: il giocatore con la maglia numero 5 è un vero cuore granata.


Fausto, di solito chi rientra da un lungo infortunio, non è al 100%, tu invece sei tornato in forma splendida.
«Sì, diciamo che a parte questo intoppo che c’è stato per tre settimane mi sono sempre sentito bene e ho sempre lavorato bene. L’ultimo infortunio serio era stato in Serie B».

Nella prima parte di campionato sei stato il perno del centrocampo della Reggiana prima in classifica, una bella soddisfazione anche personale per te…
«Sì, in generale da tre anni a questa parte, a parte l’anno in Serie B, siamo sempre stati tra la prima e la seconda posizione: con me o senza di me la squadra ha sempre dimostrato il proprio valore quindi questo fa felici tutti quanti».

A Cesena ci sono stati tre gol della Reggiana: Nardi, Verela e Fausto Rossi al decimo minuto del primo tempo. Cosa ti è venuto in mente, controllo di petto e rinvio sulla linea di porta…
«A ripensarci è stata un po’ anche l’incoscienza, nel senso che stoppare la palla sulla linea di porta non è da normali, però era l’unica cosa che mi veniva da fare in quel momento perché la palla era a quell’altezza e non ho pensato tanto a chi avessi nei dintorni, ma ho pensato solamente a salvarla e ho aspettato che scendesse per mandarla il più lontano possibile dalla nostra porta».

Nella gara di Cesena hai attirato su di te la marcatura degli avversari…
«Tutti hanno delle strategie di gara: il mister mi ha detto che dovevo fare da allodola per attirare la loro pressione. All’andata era successo così, quindi ci aspettavamo un giocatore sempre su di me, e questa volta è toccato a Bianchi. Quando è così cerchiamo di studiare la partita in maniera perfetta, credo che la strategia sia riuscita benissimo e che il mister sia riuscito a darci le giuste indicazioni per la partita e probabilmente alzandomi un pochino e facendogli perdere i riferimenti siamo riusciti a dominare un po’ di più la partita».

Come descriveresti le emozioni provate prima e dopo il derby?
«Ho passato una settimana in cui ero in una situazione di nervosismo pazzesco: era una partita diversa, diversa anche da quella contro il Modena l’anno scorso. Avevo delle sensazioni positive e vincerla è stata una liberazione. Sono stato parecchio nervoso a casa, mia moglie ha patito quattro-cinque giorni poi è venuta in trasferta anche con i bambini: è stata una partita emozionante, quando sono rientrati in pullman sono crollati perché erano stanchi e l’hanno subita anche loro. Quando vedono il papà tutta la settimana in modalità derby anche loro ne risentono un po’…».

Eri stato cercato dai bianconeri sul mercato a gennaio?
«Personalmente non ho mai parlato con il Cesena, sono cose che sono uscite fuori, non so da dove e non mi interessa: ho sempre dato un peso relativo al mercato e anzi sono più gli altri che si divertono a dire chissà se lo vuole il Cesena. Sinceramente non mi è mai importato niente a gennaio di andare via. Quando la società non mi vorrà più alzerò la mano e dirò che voglio andare via».

La questione del mancato rinnovo dei contratti a inizio stagione sembrava potesse essere un problema, ma voi calciatori sul campo avete dimostrato che non lo è…
«È esattamente così. Quello che è importante per noi è mostrare la nostra professionalità e l'attaccamento alla maglia: lo abbiamo fatto dal primo giorno che siamo stati chiamati qui alla Reggiana e abbiamo firmato il nostro primo contratto, io personalmente mi sono sempre sentito orgoglioso di giocare qui per questa maglia e di lottare per questi colori. La città mi ha sempre accolto in maniera eccezionale, mi sento parte di un tessuto che è quello Reggiano che comincio a conoscere, in maniera più profonda, quindi da parte mia non c’è nessun pensiero al contratto ma quando e se la società lo riterrà opportuno valuteremo insieme il da farsi».

Cento, centotre, centododici: quante sono le tue presenze in granata?
«Centododici credo: cento solo in campionato, contando playoff, Coppa Italia e Coppa Italia di Serie C credo che diventino circa centododici».

Un numero che ti renderà orgoglioso…
«Sì, era un obiettivo raggiungere le cento presenze. Adesso, passate le cento, il prossimo sarà 150».

Ora come fai a far capire ai tuoi figli che la maglia granata è quella della Reggiana e non quella del Torino?
«Uno è nato qui a Reggio quindi lo capisce da quando ha aperto gli occhi, l’altro vede un po’ più bianconero. La mia famiglia è divisa in due parti: una parte bianconera e una parte granata. Mio papà e mio fratello sono granata e tutta la parte di mamma, zii sono gobbi. È un po’ particolare, io essendo cresciuto nella Juve ovviamente ho una preferenza, però è normale che il sangue essendo mischiato ha sempre avuto un po’ di granata».

Quando arriverà il primo gol?
«Spero presto, è una cosa che manca e sarebbe un po’ la ciliegina sulla torta nel senso che dopo questi quattro anni e tutte queste presenze mi manca. Ci sono andato vicino più di qualche volta e spero di farlo entro la fine dell’anno».

La Serie B che potresti conquistare servirebbe per ripagare la retrocessione del 2021 vissuta senza i tifosi?
«Quella è stata una mazzata dura, penso sia stata l’estate peggiore che ho passato negli ultimi anni nel senso che è stata una cosa che non ci aspettavamo. Gli ultimi mesi sono stati difficili ma con un punto in più ci saremmo salvati. La voglia di rivalsa c’è, quel tarlo lì c’è. La Reggiana è una società che merita di stare in Serie B e noi dobbiamo portarla lì, poi se rimarremo o non rimarremo questo non lo so, ma l’obiettivo è quello».

Torniamo alla gara di domenica con la Carrarese: questi zero a zero, nell’arco di un campionato, ci possono stare?
«Sì, quando non sei al 100% e la partita non inizia nel modo giusto tante volte si dice meglio non perdere e portare a casa un punto che fa sempre muovere la classifica. Noi siamo davanti e abbiamo bisogno di muoverla sempre e cercare di fare tre passi alla volta, ma quando non ci si riesce non si deve perdere. Domenica è stata una partita particolare in questo senso e quindi meglio muovere la classifica».

Perché la Reggiana ha giocato un po’ sottotono?
«Non saprei, il modo di preparare la partita è stato eccezionale, la squadra si è allenata al 100% tutta la settimana. Ovviamente qualche scoria mentale ti rimane e probabilmente non sei lucidissimo, ma c’è da mettere in conto anche che gli avversari, dopo una partita del genere, tengono le antenne dritte e sanno che vengono in casa della capolista. Io sono dell’avviso anche che la Carrarese, oltre ad aver fatto una grande partita, sia stata consapevole di aver incontrato una grande squadra perché nel momento in cui loro hanno avuto quel momento della partita in cui potevano spingere, non lo hanno fatto perché sapevano che la Reggiana avrebbe potuto far loro male. In quel momento si sono resi conto di affrontare una squadra veramente forte può castigarti da un momento all’altro».

Ti preoccupa il terreno che troverai  tra quattro giorni a Pesaro, se dovesse piovere?
«Abbiamo già visto da alcune immagini che il campo probabilmente sarà allagato comunque pieno d’acqua: ovviamente per giocatori come me non è il massimo ma abbiamo già trovato durante l’anno campi non eccezionali e abbiamo dimostrato che nonostante il fatto di essere penalizzati tecnicamente possiamo tirare fuori qualche altra caratteristica e cercare di battagliare».

E le dimensioni molto ristrette del “Benelli”, per voi che tendete anche a giocare larghi, potranno essere un handicap?
«Sinceramente non saprei. Anche quattro anni fa, se non sbaglio a Verona con la Virtus Verona, il campo era molto stretto: il modo di giocare della Reggiana è quasi sempre uguale con lo stesso sistema di gioco, a grandi linee. Utilizzavamo un 3-4-1-2 mentre adesso utilizziamo un 3-5-2 con gli esterni a tutta fascia. Il campo può essere un fattore, però credo che non sia determinante al 100%».

Bisogna pensare alla Pesaro e non alla partita successiva con l’Entella: si riesce davvero a stare concentrati solo sulla gara più immediata e non vedere più lontano?
«In un percorso come il nostro, fatto di trentotto tappe, bisogna guardare una partita alla volta. Sembrano frasi fatte, ma è la verità: la partita più importante è domenica a Pesaro».

La partita con la Vis Pesaro ha la stessa importanza di quella con il Gubbio, ovvero due incontri alla vigilia del big match in vetta?
«Sì, sono due passaggi molto importanti durante questa stagione: più si avvicina la fine più le partite diventano importanti, il cerchio si restringe, i punti da raccogliere sono sempre meno e il traguardo lo vedi più vicino ma devi pensare partita per partita».

La domanda che tutti si fanno: Entella o Cesena?
«Penso che l’avversario più grosso siamo noi stessi. Non dobbiamo guardare gli altri, dobbiamo guardare noi stessi e come ho detto prima guardare partita per partita, tirare fuori il meglio da ogni incontro, cercare di portare a casa più punti possibili ogni domenica e i conti si faranno alle ultime tre, quattro giornate».

Come arriva la Reggiana a questo rush finale? L’anno scorso avevamo qualche problema di più, un po’ più di stanchezza, adesso sembra che vada meglio anche sotto il profilo dei recuperi…
«Io vedo una squadra che sta bene, infortuni a parte. Muroni credo che rientrerà a breve insieme a Montalto, che è un’assenza che nelle ultime dieci partite è pesata parecchio perché togliere un bomber che ha fatto nove gol in quattordici partite a una squadra è una cosa che può mancare. Sapete poi quanto è importante Libutti per noi, sapete quanto è stato importante Muroni in quest’anno nell’essere presente in squadra e nel fare benissimo quando è stato chiamato in causa. Siamo tutti importanti: più siamo meglio è e credo che sicuramente stiamo meglio rispetto all’anno scorso».

Chi è il compagno che ti ha sorpreso di più?
«Probabilmente, non conoscendolo bene, direi Pellegrini. Rispetto all’età e rispetto al giocatore che si è rivelato, onestamente pensavo fosse l’attaccante rincalzo in grado di fare quei quattro o cinque gol all’anno, in grado di portare un po’ di freschezza gli ultimi venticinque minuti e diventare l’arma in più nel momento in cui non riesci a sbloccare la partita. Invece si è dimostrato estremamente maturo, ha dimostrato di poter migliorare giorno per giorno, avere la testa giusta, prendersi carico di alcune responsabilità importanti, perché il rigore a Macerata con la Recanatese non è una cosa semplice per un ragazzo giovane. Probabilmente anche Guiebre, rispetto a come è arrivato e a come si è evoluto durante tutto l’anno». 

Nella tua carriera hai ricoperto tanti ruoli, nel calcio antico forse avresti fatto anche il libero: è un’evoluzione o una maturità che hai acquisito?
«Per la questione del libero, non lo so, perché sono nato in un calcio diverso e di liberi ne ho visti pochi. In tutta la mia carriera ho sempre fatto ruoli diversi: sono partito nelle giovanili da esterno e ho esordito in prima squadra alla Juve da esterno, sono passato a fare la mezzala, ho fatto il trequartista a Brescia e a Vercelli, ho giocato a due in nazionale, ho giocato da mezzala in Spagna poi sono passato a play, più che altro perché per le mie caratteristiche tecniche guardare in avanti è più facile che giocare spalle alla porta. Non essendo fisicamente enorme, guardare la porta avversaria può essere un vantaggio».

Adesso stai dando una grossa mano alla fase difensiva.
«Sì, è una cosa che mi piace, una cosa che ho sempre creduto di fare relativamente bene. Non è probabilmente una delle mie migliori caratteristiche, nel senso che non sono un centrocampista di rottura, preferisco la costruzione, però avendo questa caratteristica tattica in questo momento e con questo sistema di gioco, riesco ad aiutare di più la squadra a mettermi nelle posizioni corrette e dare una mano nella fase difensiva».

Come è cambiato mister Diana in questi due anni?
«Conoscendo di più le persone, i giocatori e l’ambiente credo si sia leggermente liberato da quello che è un po’ stato il suo problema visto dal fuori, perché noi lo abbiamo sempre visto come una persona molto amichevole, un allenatore che sa imporsi nel momento giusto, un allenatore che sa dare le libertà nel momento in cui la squadra ne necessita, una persona che ti dice la cosa giusta al momento giusto. Al di fuori, avevano tutti la sensazione che fosse un po’ naif e avesse un po’ la puzza sotto al naso, invece non è mai stato così: quest’anno probabilmente aprendosi un po’ di più anche alla piazza e facendosi conoscere si è liberato di quel peso che aveva l’anno scorso. Il primo anno non ha centrato l’obiettivo ma ha incassato la fiducia della società lo stesso e noi giocatori siamo stati contentissimi di riaverlo ed è cambiato un pochino».

Hai convinto tanti giocatori torinesi a venire alla Reggiana: ne hai già qualcuno pronto da consigliare alla società?
«Ovviamente i giocatori che conosco e che vogliono venire alla Reggiana sono tanti ma penso che la società lo sappia, essendo una club modello, una società storica e con una piazza e una squadra importante. Credo che a gennaio ci sia stata la fila per venire. Quando sento che non vogliono andare via da Reggio Emilia oppure che vogliono venire, penso sia la normalità e una cosa scontata».

In questi quattro anni cosa hai scoperto di Reggio Emilia che ti affascina?
«Tutto. Io ho sempre detto che sono arrivato qui in estrema difficoltà dalla Romania dove ho avuto un’esperienza particolare e non volevo più giocare, poi il direttore Tosi e Alvini mi hanno chiamato e messo davanti all’opportunità di venire a Reggio: io conoscevo la piazza reggiana ma non conoscevo l’ambiente. Si arrivava da un fallimento, una Serie D non vinta, un possibile ripescaggio: in quel momento non ci ho pensato due volte perché avvertivo la sensazione che in una piazza del genere potessi rilanciarmi a prescindere dal punto di partenza. Quando sono arrivato ho trovato subito un amore e una fiducia incondizionata come se fossi tornato a casa, a Torino. Qui ho le mie certezze, le mie sicurezze, le persone mi hanno dato fiducia calcistica. Fuori dal campo ho conosciuto tantissime persone, ho vissuto la città, ho conosciuto il territorio e le varie aziende che sono molto vicine alla Reggiana. Qui hai anche modo di parlare con tanti sponsor a cui la società tiene tantissimo, ho legato tantissimo con il direttore, con i vari presidenti che sono passati e con cui ho tutt’ora un legame. Sono tante le cose che mi hanno fatto innamorare di Reggio Emilia».

Ultima domanda: da cosa eri vestito nella festa di Carnevale della squadra?
«Ero Gru di Cattivissimo Me perché i bambini volevano fare i Minions allora io e mia moglie abbiamo fatto Lucy e Gru. È stata una bella serata, una ricorrenza che facciamo da qualche anno perché il gruppo è sano e stiamo bene insieme ed è stato anche un modo diverso per festeggiare la vittoria di Cesena».

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