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Mike Piazza: «Sono un Cristoforo Colombo che viaggia alla rovescia»

L'intervista rilasciata dal patron granata al Corriere della Sera

27.03.2017 11:00

Presente anche ieri al fianco dei granata nell'infelice trasferta di San Benedetto del Tronto, il presidente Mike Piazza non ha rinunciato ad immedesimarsi nello spirito dei tifosi partecipando al pre partita organizzato dagli ultras del Gruppo Vandelli appena fuori dallo stadio.

Il patron granata, atterrato in Italia domenica 19 marzo, oltre ad assistere alle due gare di campionato contro Mantova e Sambenedettese nei giorni scorsi ha viaggiato per affari a Milano dove è stato anche ospite della redazione del Corriere della Sera. Proponiamo qui di seguito l'intervista pubblicata ieri sul quotidiano cartaceo milanese firmata da Alessandro Pasini.
 

Tratto dal "Corriere della Sera" - 26 marzo 2017

Mike Piazza è una leggenda che pensa veloce, parla chiaro e sorride volentieri. Icona dello sport americano, nella Hall of Fame del baseball, l'estate scorsa ha acquistato la Reggiana, squadra di Lega Pro che sogna la B. «E sa perchè? Sono un Cristoforo Colombo che viaggia al contrario».

Ma perchè il calcio?
«Da tempo pensavo di acquistare un club sportivo, ma volevo qualcosa di diverso. La scintilla è stata nel 2009 a Roma, finale di Champions Manchester-Barcellona. Mi emozionai talmente che mi dissi: "un giorno farò qualcosa nel calcio"».

Reggio Emilia però, con tutto il rispetto, non è la Champions...
«Ma per me è l'ideale. Con Maurizio Franzone abbiamo esaminato varie ipotesi, tra cui il Parma. Reggio alla fine ci è parsa un approdo naturale: c'è tradizione, una grande base di tifosi, un tessuto industriale efficace, è vicina a Milano e ha uno stadio da serie A, e pazienza se dobbiamo affittarlo al Sassuolo: succede anche in America...».

Da qui si parte per cosa?
«Un progetto quinquennale che porti almeno nei playoff per la Serie A. Ma attenzione: io non voglio salire e poi tornare giù subito».

Si racconta di un investimento di 3-5 milioni...
«Meglio non parlare di soldi. Poi magari qualcuno pensa che possano essere reinvestiti tutti in giocatori...».

Reggio comunque l'ha accolta con entusiasmo.
«Fantastici, mi ricordano il mondo dei college USA. A loro dico che sono un uomo d'affari ma che, da ex atleta, so bene il valore del tifo e conosco il profumo dello spogliatoio».

Al "Jimmy Kimmel Live" in USA ha regalato al conduttore la maglia della Reggiana dicendo: «So che perderò un mucchio di soldi».
«(in italiano) Ma stavo scherzando!».

Qui però tanti proprietari si bruciano davvero...
«Lo so. Ma in ogni nuova avventura finanziaria ti getti in mare sapendo che puoi trovare gli squali. Sono preparato».

Si è fatto un'idea dei problemi del nostro calcio?
«Manca il concetto di Lega, di collettività. Ogni realtà è indipendente, il presidente mecenate non può più funzionare. Servirebbero uomini di sport nei luoghi di comando».

Come va con gli altri esponenti della new wave americana: Pallotta (Roma), Saputo (Bologna), Tacopina (Venezia)?
«Abbiamo modelli e mercati diversi. Ma le relazioni sono importanti e le rafforzeremo».

Cosa vorrebbe importare dal baseball USA?
«Non bisogna avere paura di sbagliare e si deve avere il tempo per lavorare. Pensi ai Chicago Cubs che hanno vinto le ultime World Series: lo stadio era esaurito anche prima, quando perdevano! Perchè? Tifosi, sponsor, media credevano nel modello finanziario, solido e non corrotto».

Che reazioni ha colto fra i possibili investitori?
«Positive. Il punto però è farvi capire che in USA ci si unisce quando il prodotto funziona; in Italia invece si pensa che se uno cerca partner è perchè è nei guai».

A Reggio è cresciuto Kobe Bryant: proverà a coinvolgerlo?
«Intanto aspetto che venga a vedere una partita della Reggiana... Comunque, perchè no? Tutti i partner seri sono ben accetti».

Il senso del business deriva da papà Vince, vero?
«Vero. Nel 1972 investì nelle auto Honda e tutti, compresa mamma, erano perplessi: "auto giapponesi, why?". Invece aveva avuto la visione!».

Al punto che poi, diventato ricco, voleva comprare una franchigia di Major League...
«Sì, i San Francisco Giants nei primi anni '90, ma uno dei proprietari lo accusò di collusione con la mafia. Papà fece causa alla Lega per diffamazione, vinse e ottenne il via libera per l'acquisto, ma ormai si era disamorato del progetto. Che tristezza gli stereotipi, eh? A me da ragazzo dicevano: "Piazza? Are you mafioso?". Pensavano fossimo tutti usciti dal Padrino...».

Papà l'ha anche avviata al baseball: un'altra visione...
«Per gli immigrati italiani il baseball era la forma suprema di integrazione. Pensi a Joe Di Maggio e Yogi Berra».

Lei ha giocato per l'Italia nel World Baseball Classic 2006 e poi ha lavorato spesso con la Federazione.
«Grande esperienza, i rapporti continuano anche oggi. Un altro modo per onorare le radici piantate dal mio antenato Giuseppe Piazza, nato a Sciacca nel 1789».

Dopo l'11 settembre lei è diventato un simbolo potentissimo della rinascita grazie al fuoricampo vincente con i Mets contro Atlanta nella prima partita dopo l'attentato. Dissero che generò il primo sorriso di New York dopo il dramma.
«Momenti che hanno cambiato la mia vita. Da star tendevo a pensare solo a me stesso, dopo non più. Quel giorno non sapevo se fosse giusto giocare, ma la gente voleva tornare alla normalità e la fede in Dio mi ha aiutato».

Nella prossima intervista parleremo della Reggiana in Serie B?
«Speriamo. Lo sport è 80% preparazione e 20% fortuna. Io posso lavorare solo per la prima...».


(Nella foto Mike Piazza assieme ai tifosi granata prima della partita con la Samb © Gruppo Vandelli)

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