Primo Piano

Goretti si presenta: «La Reggiana e il presidente mi hanno trasmesso la voglia di costruire qualcosa insieme»

«La categoria non importa, qui si vive un calcio di alto livello. Il Milan è fonte d'ispirazione, per crescere bisogna puntare sulle strutture e sul Settore Giovanile. Diana scelta condivisa, i giovani devono ritrovare il senso di appartenenza»

04.07.2022 17:30

Finalmente Roberto Goretti: a tre settimane dal suo annuncio, il nuovo direttore sportivo della Reggiana è stato ufficialmente presentato alla stampa oggi pomeriggio nella sede del club in via Brigata Reggio. A introdurlo nel mondo granata ci ha pensato il presidente Salerno, presente al suo fianco durante l'arco di tutta la lunga conferenza stampa di presentazione, e vero artefice del suo approdo a Reggio Emilia. 

«Il direttore si è fatto attendere un po’ ma finalmente è qui – ha sottolineato il presidente granata Carmelo Salerno in apertura, prima di lasciare la parola a Goretti – Vi voglio ricordare come è nata la scelta di portarlo a Reggio: ci siamo incontrati un po’ di tempo fa nel mio studio e lui ha riconosciuto subito il disegno dei campi di Via Agosti sulla mia scrivania e da quel giorno abbiamo iniziato a parlare dell’importanza per una società di calcio di avere una casa, l’importanza di avere un centro sportivo per creare un patrimonio, far allenare i giocatori in modo adeguato e farli crescere per creare valore. Ho visto che gli brillavano gli occhi guardando quel progetto quindi ho voluto approfondire l’argomento in altri incontri e parlare di calcio: gli ho spiegato che il mio desiderio è quello di fare un “calcio sostenibile”, con un centro sportivo alla base della piramide da coniugare con l’aiuto di città, tifosi e sponsor. Il “calcio sostenibile” non è un mio capriccio ma è l’unico modo per non far cambiare sempre proprietà alle squadre di calcio e far sì che una società possa durare nel tempo. Ho scoperto che Goretti la pensa esattamente come me, anzi io vedo il calcio come lui che ha grande esperienza. Quindi quello che per me era un sogno, lui mi ha detto che era riuscito a realizzarlo a Perugia e Cosenza. Da lì ho capito che poteva essere il direttore sportivo adatto per il futuro della Reggiana ed era arrivato il momento di provare a cambiare: non è stato facile, ma ero convinto della mia scelta. Sono felice e orgoglioso che abbia accettato, lasciando dopo quasi 10 anni la Serie B per scendere in C. Non era una scelta scontata, ci credevo anche poco, ma il fatto che sia venuto qui deve rendere orgogliosa tutta la città, la società e i tifosi. Ritengo che sia forse il più bravo direttore sportivo in Italia fino alla Serie B. So benissimo che contano i risultati e alla fine spero arrivino, ma sono convinto di avere portato a Reggio Emilia un “top player” che può portare dei punti alla squadra. Quest’anno per vincere ognuno di noi deve portare punti alla squadra: presidente, ds, tifosi, stampa e la città. Sono sicuro che la società crescerà a livello organizzativo: speriamo di coniugare crescita societaria, crescita sportive ed economia. Questi sono i motivi per i quali l’ho scelto e ringrazio di cuore Goretti per avere accettato di venire a Reggio Emilia. Per iniziare a vedere i primi risultati serve tempo e parlo di almeno tre anni. Questo, poiché è il primo, sarà l’anno più difficile. So che non è scontato, ma vorrei essere giudicato tra un paio d’anni…».

Direttore, perché ha deciso di passare dalla Serie B alla Lega Pro?
«Innanzitutto anche da calciatore ho scelto a sensazione e la Reggiana e il presidente mi hanno trasmesso voglia di costruire qualcosa insieme. Questo per me è un punto troppo importante. Non ho mai fatto calciatore o dirigente per i soldi ma per la passione e l’ho dimostrato con i fatti: sono rimasto per 8 anni a Perugia rifiutando contratti dalla categoria superiore. Ho scelto Reggio per questo motivo, poi la categoria non è sempre determinante: qui ci sono una società, una città e una tifoseria di altissimo livello. Non è la Serie C la categoria che cataloga nel modo giusto la Reggiana. Per me si tratta di una sfida completamente diversa rispetto a quella dello scorso anno a Cosenza: mi dicevano tutti che avevo accettato una sfida impossibile ma io ci ho provato nonostante tutte le difficoltà iniziali e alla fine è stata una bellissima esperienza, una grande impresa dal punto di vista gestionale. A Cosenza ho vissuto tante situazioni nuove e sono cresciuto, qui a Reggio trovo un contesto quasi del tutto opposto perché si gioca per vincere anziché per salvarsi e quindi è tutto più difficile, poi ho una rosa praticamente già pronta con 21 giocatori su 24 sotto contratto. Anziché una scelta isterica dettata dai tempi come un anno fa, qui mi si presenta uno scenario opposto dove si può lavorare con calma, anzi bisogna rallentare i tempi. Da osservatore esterno dico che la Reggiana è andata in Serie B e solamente un episodio che capita ogni 40 anni (il gol di Gagno, ndr) le ha impedito di essere promossa. Ma è comunque una sfida importante in cui posso pensare di poter costruire qualcosa. Ho fatto esperienza in Europa e devo dire che le strutture alla fine fanno la differenza: per crescere bisogna puntare sulle strutture e sul Settore Giovanile. La punta dell’iceberg chiaramente è la prima squadra, ma noi siamo penalizzati dai regolamenti perché in C c’è sempre un bagno di sangue per i soci, in B e A le cose cambiano…».

Una scelta dettata anche dal cuore? A Reggio vanta già un passato da calciatore…
«Conosco Reggio, so che qui si sta bene e il calcio è molto seguito quindi può lavorare bene. Arrivai alla Reggiana dopo alcuni infortuni e in granata trovai la continuità per poi tornare in Serie A quindi ricordo con piacere quegli anni. Allenarsi con Cadregari era uno spasso: con il mister ancora ci sentiamo e scherziamo su queste cose. C'era un bel gruppo, con alcuni “vecchietti” fantastici come Pizzi, Bia, Bizzarri. In campo si soffriva un po' ma è stata un'esperienza bella e divertente».

Come si può pensare di coniugare crescita sportiva, economia e societaria e raggiungere la Serie B?
«Bisogna lavorare quotidianamente, cercando di mixare il tutto nella maniera che si ritiene più opportuna. Chiaramente partiamo da una buona base di giocatori tra i quali abbiamo Sorrentino che è un ’97, tre ’96 e altri più maturi. Piano piano un obiettivo dovrebbe essere quello di creare una rosa un po’ meno omogenea a livello di età per vari motivi. Questa è stata una mia caratteristica nel tempo prima a Perugia poi a Cosenza: la scelta era quella di avere 7-8 giocatori con un certo background come guida affiancati da altri giocatori giovani e abbastanza futuribili. A Cosenza mi chiesero quale fosse il modello da seguire e io indicai il Milan: il club rossonero ha affiancato a due atleti di grande esperienza come Kjær e Ibrahimovic quattro o cinque ragazzi intorno ai 26-28 anni e tanti altri giovani. In questa maniera il Milan ha dato a tutti noi osservatori dei segnali importanti, un modo nuovo di lavorare al quale non eravamo abituati specialmente ad altissimo livello. Poi ha fatto un capolavoro vincendo lo scudetto…».

A livello di Settore Giovanile cosa cambierà?
«Bisogna ricostruire dal basso la nostra immagine, piano piano. Siamo su un territorio in cui la concorrenza è elevatissima, ma troveremo la nostra strada con i nostri tempi: capiremo solamente tra tre o quattro anni come opererà il Settore Giovanile e lo stesso discorso lo si può fare per il centro sportivo. Quando ero qui ricordo che c’era grande senso di appartenenza tra i giovani e dovremo puntare su questo aspetto».

Continuare con Diana è stata una scelta condivisa con la società?
«È stata sicuramente una scelta condivisa da parte mia, in maniera molto convinta. Chi ha seguito da fuori la Reggiana come il sottoscritto può dire di avere visto un buon calcio, una squadra molto forte che in casa ha un’identità ben definita. Agli occhi miei l’allenatore ha fatto un’ottima impressione, ma la cosa importantissima che mi ha trasmesso Diana sono i valori e la voglia di ottenere qualcosa che è sfuggita di mano, la voglia di concludere un percorso non portato a termine».

Secondo lei la Reggiana deve ripartire dagli 86 punti dello scorso campionato o deve dimenticarli?
«Dal mio punto di vista non è questo un obiettivo da ripetere, il campionato è finito e archiviato. L'obiettivo deve essere quello di dare continuità, identità, atteggiamento e consapevolezza alla squadra. Dobbiamo far sì che la Reggiana negli anni su aspetti come carattere, identità di gioco, determinazione, rabbia, sia sempre quella. Avremo una qualità tecnica importate e a quella bisogna aggiungere queste caratteristiche. Come in ogni stagione non si può confermare la rosa in toto e credo che alcune facce nuove facciano sempre bene per creare stimoli nuovi. La staticità degli equilibri all’interno della rosa credo che alla lunga non aiutino la squadra. Con calma vedremo cosa fare…».

Come vive Goretti la settimana?
«Sono parecchio presente, mi piace seguire gli allenamenti e avere un buon feeling con l'allenatore. Se in un mese dico dieci cose e se ne fa almeno una, vuol dire che sono riuscito ad avere successo. Con alcuni allenatori magari parlo una volta a settimana, con altri una volta ogni tre mesi. Con i giocatori, a seconda della tipologia del gruppo o dell’allenatore, decido in maniera opposta come comportarmi». 

Qual è il suo rapporto con stampa e tifosi?
«Con la stampa ho un rapporto minimo, durante il calciomercato non ho tempo di parlare con tutti al telefono. E anche in generale durante l’anno non sono un grande comunicatore, a parte quando me lo chiede la società. Con i tifosi ho grande rispetto perché il rispetto si trova nell’impegno che metterò a livello quotidiano al servizio della Reggiana. Poi sono un professionista e devo pensare a fare il mio lavoro nel migliore modo possibile. Saranno i numeri alla fine a dire se ho fatto bene oppure no».

Commenti

Cremonesi: «Aspetto una chiamata dalla Reggiana. Insieme dobbiamo terminare il cammino che abbiamo iniziato...»
Goretti e il mercato: «La squadra ha bisogno di corsa e intensità. Lanini? Per lui tornare sarebbe la scelta giusta»